domenica 24 ottobre 2010

Ingredienti segreti

Tornato a Torino mi accoglie un intrigo familiare di scuola classica, non sfigurerebbe in un giallo di Agatha Christie.
Siamo nel duemilasei, Castiglione Torinese, un paese della prima cintura della città. Le case sroltolate sulla collina come puntini chiari tra le fronde verdi.

Ci sono gli ingredienti giusti.
Una famiglia per bene. Una moglie e un marito che si amano. Tutto normale, il lavoro, la vita di sempre.
Questo all'apparenza, perchè nessuna vita è davevro normale, perchè in ogni casa c'è un angolo pieno di polvere, di solito dove si accumulano i segreti.
Come un'amante.
Lui infatti, si è innamorato di un'ultra donna.
Qualcosa che può accadere, ma non per forza un'amante equivale ad un omicidio.

Se fossimo in un romanzo della regina del giallo, dovrebbe arrivare qualcosa a perturbare la situazione
La moglie dell'uomo, inaspettatamente, eredità una grossa somma di denaro.

Ricapitoliamo.
C'è un uomo e una donna, sposati da anni, c'è un'amante, e ci sono dei soldi.
C'è la collina torinese, su cui aleggia il primo caldo di maggio.
C'è la sirena di un'ambulanza.
Grida nella sera la sua urgenza, forse le gomme stridono sull'asfalto, una pennellata bianca e rossa nella sera.
Da Castiglione all'Ospedale di Chivasso.
La barella entra di fretta nel Pronto Soccorso, codice rosso. Una donna è in coma. I parametri non sono confortanti.
Un camice bianco inizia a fare domande al marito della donna - così simili a quelle che gli faranno gli inquirenti,in futuro. Ma lui ancora non lo sa.
Poi le porte vengono chiuse ai nostri occhi, la donna inghiottita nel ventre laborioso dell'ospedale, dove si cercano cause, si scoprono antidoti.
La donna ha bevuto - per sbaglio? - del liquido antigelo.

Dicevamo che c'è un uomo, ha un'amante, e non solo è stanco della moglie, ma può mettere le mani su un sacco di soldi. Rifarsi una vita. Con la donna che ama adesso.
C'è la volontà, manca l'occasione.
Almeno fino a quando la moglie non deve sottoporsi ad una visita medica, per cui deve assumere un farmaco che va disciolto in molta acqua.
- Ci penso io, Clelia, - deve aver detto lui quella sera. - Non ti preoccupare, lo preparo io.
E lo prepara, come accertano i carabinieri in seguito, aggiungendoci però il suo personalissimo ingrediente segreto: glicoletilene. O Paraflù.

Oggi hanno confermato la condanna dell'uomo.
Non di omicidio, come sarebbe lecito aspettarsi in un romanzo della scrittrice inglese, ma solo tentato omicidio. La donna si è salvata, è stata salvata. L'antidoto ha funzionato e oggi la donna sta bene.

L'uomo, si difende.
Ma le sue parole suonano più come una maldestra ammissione di colpevolezza.

«È vero: ho preparato io il liquido che mia moglie doveva bere per la colonscopia, ma non vi ho aggiunto il paraflù... O sono stato io, ma senza rendermene conto perché in un stato di alterazione psichica di cui però non ho mai sofferto. Oppure è stata una persona diversa da me. Non so chi».

Non so chi.
Ma intanto, per una volta, non ci sono cadaveri. Solo il desolante e consueto animo umano.

domenica 17 ottobre 2010

Ritorno a casa

L'autostrada è una striscia scura che si intuisce appena nella nebbia di questa mattina. Sto tornando a casa. Il caso è chiuso, han detto gli inquirenti. Ormai sono solo i piccoli dettagli a mancare, le sfumature. Quelle le lasciamo ai curiosi. I dettagli sono importanti, fondamentali. Non questa volta.
Ogni dettaglio non fa che aumentare la nausea che mi stringe la gola. Come se ogni volta non bastasse, non fosse sufficiente, e così si scava più a fondo, tirando fuori vermi e scorpioni, sentimenti scuri che popolano la nostra mente.

Sarah, Michele - l'assassino - Sabrina, Cosima.
Come in una tragedia i prtotagonisti compaiono sul palco, per brevi istanti, per lunghi monologhi, per accuse e pianti.
Avetrana, lo sfondo.
Noi tutti, il coro.

Dinamica della morte, ancora da accertare. Di base, c'è che Sarah è stufa di queste attenzioni troppo pressanti, sbagliate, ha solo quindici anni, lei, e quello, cazzo, è suo zio. Ma come è possibile, come può succedere. Adesso basta. Una volta per tutte la cosa deve finire; lo sapranno i suoi, che prenderanno i giusti provvedimenti. Capito Sabrina? Tuo padre deve smetterla e visto che non lo fa, non ne ha intenzione, sono costretta a parlare.

Sabrina ascolta, cerca di placare, ha ragione, cambierà, non sapevo, credimi, cambierà. Ma a cambiare sarà solo la loro vita. Suo padre scoperto, messo a nudo, di fronte ai propri assurdi istinti. E lei? Già sente gli occhi di tutti addosso, lei Sabrina, la figlia di un pedofilo, o peggio.
Stanno per partire, lei e Sarah, e un'altra amica. Non prima di aver messo a posto le cose.

Così costringe la cugina ad andare in quel garage, una tomba dove incombe la ruggine, le macerie di una vita in bella vista, che sono quella di Michele e sua figlia, Sabrina. L'odore del grasso e del gasolio che impregna ogni cosa. Basta guardare quel garage, per comprendere. La scientifica lo setaccerà millimetro per millimetro, ma a noi basta uno sguardo.

Quali sono le intezioni di Sabrina, in quegli istanti rabbiosi e determinati?
Intimidire? Spaventare?
Mentre spinge Sarah da suo padre, dallo zio che lei no, non vuole vedere.
Poi ogni istante si dilata, vediamo i gesti al rallentatore, le parole che si sfilacciano, la rabbia salire, mischiarsi con quell'odore di gasolio, le spinte, le mani che stringono, sono le mani di Michele, sono gli occhi di Sabrina che guardano, lasciano fare. Poi è tutto finito.
Sarah è ormai lontana; lì, per terra, c'è solo il suo cadavere.

Concorso in omicidio, ripetono gli inquirenti indicando Sabrina.
Mentre Avetrana si allontana, e le parole sono come neve sporca che si deposita ai lati delle strade.
Credi per un attimo che tutto sia ormai successo, finito, invece ce n'è ancora.

Ma ora basta.
Accendo la radio, infilo un cd dei Portishead, Dummy e lascio che le parole e la musica riempiano l'abitacolo, scacciando ogni altra cosa.
Ancora pochi chilometri.
Ancora pochi chilometri.
Poi, l'autuno rosso e nero della mia Torino.
Più caldo di questo inverno di ghiaccio e neve di una città del sud.

giovedì 7 ottobre 2010

L'inverno ad agosto

Ci sono casi, indagini, cui è impossibile rimanere indifferenti. Anche se escono dalla propria città, anche se sono lontani chilometri.
Ad Avetrano, oggi, è pieno inverno.
Gli stivali dei poliziotti pestano il terreno, producendo un rumore secco e morbido insieme, come se pestassero un sottile strato di ghiaccio e terra. La frenesia, l'adrenalina che li accompagnava è evaporata, soffiata via dal vento gelido di alcune parole. L'abbiamo trovata. L'abbiamo trovata.
Ma naturalmente è troppo tardi. E' sempre stato troppo tardi, per Sarah che, ora, a vedere il suo esile corpo nudo, rannicchiato, sembra dormire.

Era il ventisei agosto, quando Sarah è scomparsa.
Ha iniziato a soffiare un vento gelido di presagi. Una fuga, un incidente, un rapimento, o peggio.
Alcune cose non serve essere poliziotti o investigatori. Perchè quando una persona scompare, e dopo ventiquattro ore non c'è una richiesta di un riscatto, il pensiero è uno solo.
Ma ci sono angoli nascosti, pensieri che non è semplicemente possibile accettare. Che sono anche più neri della morte.
Era il ventisei agosto quando Sarah è stata uccisa.
In un garage, nella caverna di un orco delle fiabe. Ma quella caverna doveva essere un posto rassicurante, come lo deve essere la casa di uno zio.

Hanno portato via il corpo.
Un nastro a impedire ai curiosi di avvicinarsi, le orme sul terreno, e anche le ultime telecamere vengono caricate sulle auto. Resto solo.
Intorno la campagna è silenziosa. Gli alberi mi sembrano già secchi, i rami contorti a formare un interrogativo.
Smuovo un po' di terra con il piede, mi ficco le mani in tasca per non sentire freddo.
Sento la forma rettangolare del mio cellulare.
Da un oggetto simile è partito tutto, le indagini hanno avuto una svolta.
Anche questo ce lo insegna la tv. Che gli oggetti hanno sempre qualcosa da dire, e spesso è la verità.

Michele M. lo ha trovato abbandonato in un campo di sua proprietà. Lo ha subito portato agli inquirenti, perchè bisogna scoprire chi ha rapito Sarah, cosa le è sucesso.O almeno è quel che dice.
Ma quel piccolo telefono non sembra essere d'accordo. Non è stato in quel campo per tutto questo tempo. Lo dice la plastica troppo poco usarata, lo schermo a cristalli liquidi, lo dicono i carabinieri del Ris.
E in fondo lo dice anche la cugina di Sarah, che al telefono ha detto alla madre "Tanto lo so che l'ha presa lui...". Piangeva.

Questa notte ha confessato, Michele.
E' stato lui ad uccidere Sarah, quella mattina di agosto, l'ha strangolata, ha abusato del suo corpo, poi se n'è disfatto.

Non riesco ad allontanarmi da questo posto, dalla tomba provvisoria di Sarah, il gelo mi avvolge, insieme al silenzio. Lontana, c'è la mia città, fatta di strade che si incrociano come destini, ombre lunghe e spesse. Lì l'inverno non è ancora arrivato.
Sarà questione di giorni.
Solo questione di giorni.

giovedì 30 settembre 2010

Il fiume e la notte

Il fiume scorre ancora, passata la notte. Per certi versi se ne frega, il fiume, della notte; per altri, sembra invece più turbolento, più scuro, come se avesse assorbito tutti i sogni della città, tutti gli incubi, e ora li stesse portando lontano.

Ma alcuni sogni non sono sogni, così alcuni incubi, alcune voci.

La Polizia, ora, è solo un nastro su una porta, l’eco di sirene.

Siamo a Moncalieri, a pochi passi da Torino, tanto che sembra essere Torino, là dove si allunga e si stira sulla collina, per poi sdraiarsi, verso sud. Un posto qualunque, una casa qualunque.

Alcune voci, arrivano solo di notte. Come se durante il giorno se ne stessero acquattate, in quegli angoli bui che la coscienza non si degna di pulire, coperti di polvere e vecchi rancori.

Guido stava dormendo. Stava dormendo prima che una voce iniziasse a chiamarlo. Ci sono voci che non vuoi ascoltare, ma lo stesso sono suadenti, e nel loro insistere c’è qualcosa di magico.

Graziella e Luciano, genitori di Guido, sono nella loro stanza. Dormono. C’è silenzio, intorno a loro, nessuna voce. Possono essere felici, o arrabbiati, o semplicemente stanchi. C’è silenzio, intorno a loro, ma non è così. Perché ci sono rumori così familiari che uno smette di sentirli. Sono i passi di Guido. Sono più pesanti del solito, però, pesano di un martello e di una voce inediti, pesano di una strana rabbia viola.

Di violenza cieca.

C’è stato un tempo che Guido aveva dei problemi. Era seguito dal centro di Igiene mentale, e tutto sembrava andare bene. Le voci non esistevano, o erano così fievoli, così lontane, da non doverci prestare attenzione. Ma era un tempo, appunto, da un anno, Guido, ha lasciato il centro. Forse perché la guarigione sembrava cosa fatta, lì a portata di mano.

Le voci hanno un imperativo, ed è uccidere. Così c’è un martello, ci sono i genitori, c’è la rabbia. E colpi, e quando questi non bastano ci sono le mani, che affondano, lì dove ci sono gli occhi.

Quando la Polizia è arrivata, era tranquillo. Le voci si erano allontanate, i genitori in un lago di sangue, ancora vivi, gravemente feriti. Si stava lavando le mani. Meticolosamente. Con quell’espressione e quella calma di chi ha fatto un buon lavoro. Ha eseguito degli ordini, e l’ha fatto con cura.

Ora in questa casa vuota, rimane un senso vago di solitudine, ragnatele di rabbia, l’odore del sangue. Ma se si chiudono gli occhi, si rimane immobili, sembra quasi di sentirle. Parlano piano, sussurrano, una nenia continua.

Uccidere. Uccidere.

Uccidere.

domenica 19 settembre 2010

Un nuovo inizio

Quando arrivo, Hap è affacciato sul fiume, la camicia a mezze maniche che si muove al ritmo di un vento leggero.
Mi ha chiamato, ieri.
- Ti devo parlare, - mi ha detto, - vediamoci al ponte, e porta qualcosa da bere.
Così eccomi qui, di fianco alle radici del ponte Isabella. Un lampione illumina il mio amico, allungando la sua ombra fino a toccare l'acqua.
- Tieni.
Gli porgo una lattina di birra.
Rimaniamo per qualche tempo in silenzio, due uomini sull'argine di un fiume, a sorseggiare una birra. Ad aspettare il futuro.
- Devi partire? - gli chiedo.
- Domani.
- Torni in Texas?
Lui annuisce.
- Sono stato bene, a Torino.
- Ma ti manca l'aria polverosa della tua città.
- E Leonard.
Un cane compare dalla stradina. E' piccolo, ma ha una gran voglia di farci le feste. O di romperci le palle.
Hap si inginocchia ad accarezzarlo. Il cane sembra felice. Scodinzola un po', poi si allontana, inghiottito dalla notte.
- Non ci sarà più nessuno, ad indagare su questa città.
Lui mi guarda. Sorride.
- Non dire stronzate.
- Pensi di tornare? - gli chiedo.
- Penso che sia arrivato il tuo turno.

Torniamo che è ormai quasi l'alba. Siamo sotto il portone di casa sua. La città inizia a svegliarsi: qualche finestra ha alzato le sue palpebre di legno, luci soffuse si diffondono nel cielo. Le prime auto escono dai garage con i vetri ancora appannati.
- Farai un buon lavoro, - mi dice, stringendomi la mano.
- Ho qualche dubbio.
E ne ho davvero.
- Sai, - continua, - non è questione di essere bravi oppure no. Di essere un detective, un poliziotto o un dannato Sherlock Holmes.
- Anche se forse aiuterebbe.
- Basta seguire l'istinto. E l'odore della notte.
- Ci proverò.